Il Please Don’t Tell è un locale dell’epoca del proibizionismo, uno dei cosiddetti Speakeasy Bar, anche se ormai
non è più così “segreto” come qualche anno fa, volevo citarlo come uno dei posti da scoprire nella Grande Mela.
La prima volta che entrai in questo bar fu per caso. Era il 2010 e alloggiavo nell’ East Village a casa di una coppia di amici, furono loro a consigliarmi di andare a provare gli hot dogs di un piccolo “ristorante”, da intendersi tale solo perché al suo interno si preparava del cibo, poco distante chiamato Crif Dogs (per il quale probabilmente scriverò due righe a parte).
Ci siamo seduti al primo tavolo a destra dopo l’entrata e sul lato opposto del locale, ad un paio di metri, si apriva di frequente una porta a soffietto con i vetri scuri. Il traffico era un po’ troppo perché fosse l’entrata di un bagno. Finiti gli hot dogs la curiosità ha preso il sopravvento e sono andato a curiosare dietro quel vecchio e cigolante infisso di legno. Lo stupore iniziale è stato simile a quello che si prova quando assistite allo spettacolo di un mago e il trucco va a buon fine, dietro quei vetri scuri c’era solo un telefono a ghiera un po’ datato, appeso al muro in uno spazio poco più grande di quello di una cabina telefonica.
Dov’erano tutti?? Spariti?
Un foglio bianco, appeso al muro, che ha attirato la mia attenzione nella penombra di quella stanzetta, è stata la risposta ai miei dubbi.
Infilando il dito nel numero 1 e girando il disco si attivava un campanello grazie al quale una parete libera della cabina si apriva e una gentile signora vi invitava a prenotare un posto per il primo orario disponibile.
Quello era l’unico ingresso per il Please Don’t Tell.
Il locale era davvero molto frequentato per cui quella sera riuscimmo solo ad affacciarci e vedere come fosse il disposto.
Varcato l’insolito uscio, ci si immergeva nell’atmosfera della terza decade del XX secolo, quando negli Stati Uniti entrò in vigore il proibizionismo. Davanti all’ingresso erano disposti, lungo il muro di mattoni rossi, tre tavoli quadrati incastonati in divani in pelle nera, a forma di U. Un soffitto in legno e un pavimento corvino, troppo vicini tra loro per qualsiasi normativa italiana, accentuavano la sensazione di trovarsi in un nascondiglio. Sulla destra un lungo bancone attorno al quale prendevano posto una quindicina di sgabelli. Sulle pareti una piccola collezione di dubbio gusto di animali impagliati…
Sono andato altre volte nel East Village a mangiare gli hot dogs, ma solo a gennaio dello scorso anno son tornato nello “Speakeasy Bar” più cool del quartiere.
Il traffico era decisamente minore, ma un’oretta di attesa nelle ore di maggior frequentazione è il minimo che si deve attendere. La porta ora ha vetri trasparenti (forse farsi vedere un po’ di più serve a contrastare la crisi che ha colpito un po’ tutti?) e il telefono è rosso e più moderno, ma il resto è praticamente invariato.
La carta dei cocktail offre una scelta ampia, alcuni riprendono gli anni ’20, la qualità è davvero alta e i prezzi (un pò cari) assolutamente in linea con quelli newyorkesi.
Consiglio...
Andate per una cena (molto) informale e appena arrivate prenotare per un buon cocktail della buonanotte.
Attenzione ad aver compiuto i 21 anni e ad avere i documenti con voi, altrimenti rischiate di dovervi fermare al cibo…
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